Sono ingegnere (purtroppo! aggiungerebbe mia moglie), classe ’50, padre di tre figli, nessuno dei quali ha intrapreso la professione paterna (per fortuna! chioserebbe mia moglie).
Mi domando se il liceo classico Visconti di Roma, i suoi spazi carichi di storia, gli amati professori e le impagabili compagne e compagni abbiano lasciato il segno nella mia formazione. Visto che il segno è sopravvissuto agli studi di ingegneria, direi di sì!
Il lavoro per lo sviluppo dell’Aeroporto di Fiumicino mi ha portato a viaggiare in Europa e negli Stati Uniti. Poi, tra i responsabili dell’Alta Velocità ferroviaria in Italia, ho avuto modo di confrontarmi con le variegate realtà territoriali e istituzionali.
Non mi sono arreso al tecnicismo, convinto che anche un ingegnere debba avere una cultura aperta alle lettere e all’arte, al cinema, al teatro, alla musica. In fondo tutte le discipline sono tra loro interconnesse e l’immaginazione e la creatività da sempre sconfinano negli ambiti della scienza, della logica e della matematica, con le quali convivono in armonia.
Nel mio libro d’esordio racconto persone reali e fatti realmente accaduti: un viaggio della memoria che parte dall’oggi, torna indietro nel tempo e ritorna all’oggi, a chiudere un cerchio tra l’adulto che sono ed il bambino che ero, quel bambino che mi conduce nelle stanze del passato prendendomi per mano.
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C'è sempre qualche vecchia signora che affronta i bambini facendo delle smorfie da far paura e dicendo delle stupidaggini con un linguaggio informale pieno di ciccì e di coccò e di piciupaciù. Di solito i bambini guardano con molta severità queste persone che sono invecchiate invano; non capiscono cosa vogliono e tornano ai loro giochi, giochi semplici e molto seri. Bruno Munari